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Origine e Territorio

La BrovadaOrigine, tradizione e territorio

La friulanità della Brovada è testimoniata fin dal nome, che non può essere tradotto in lingua italiana se non attraverso la spiegazione del suo metodo produttivo.

Del termine Brovada esistono in Friuli Venezia Giulia diverse varianti locali quali: broada, broade, brovade, bruade, sbrovada, sbrovade. Tutte parole verosimilmente originate dalla parola longobarda breowan, cioè bollire.

Anche se termini derivanti da tale verbo si ritrovano in parlate dialettali di altre parti d’Italia solo in Friuli essi sono usati come sostantivo per individuare questo alimento ottenuto dalle rape. Questa particolarità linguistica conferma che, anche se la rapa è un prodotto diffuso in un’area produttiva ben più vasta, la fermentazione con la vinaccia, la preparazione con la grattugia e il suo uso in numerose, diffuse e popolari ricette, sono oggi tipiche del Friuli.

duc lu san / che buine je vuè / ma mior je doman…

La BrovadaSecoli di storia

Negli “Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia”, del 1810 è conservata una descrizione dovuta al Prof. Filippo Re del metodo di lavorare e conservare le rape, modo ancor oggi seguito per produrre la Brovada. L’origine del piatto è però ben più remota, la rinveniamo infatti nel più antico ricettario di cucina che si conosca: il De re coquinaria di Apicio (25 a.C.) maestro di cucina vissuto nella Roma imperiale di Tiberio, la presenta in una ricetta suggerendo la “conserva di rape o di navoni: pulire gli ortaggi e sistemarli nei barattoli, coprirli con mistura di bacche di mirto, miele e aceto”.

Anche alcune citazioni in carteggi trecenteschi, della Brovada si legge nel racconto di un drammatico accadimento, avvenuto nel pordenonese, all’inizio di aprile del 1478. Lo storico Jacopo Valvasone di Maniago, in una sua cronaca sulle devastanti incursioni dei Turchi in Friuli, scrive infatti che, per sfuggire alla furia degli Ottomani, una madre, “lasciato il fanciullino in terra s’ascose dietro a un tinazzo che era pieno di rape conservate nei raspi d’uva, come ancora si costuma a fare in questi nostri paesi…”

Mentre nella cucina delle altre regioni la tecnica di conservare le rape con la fermentazione è scomparsa, la produzione e il consumo della Brovada in Friuli è ancora molto diffuso.

La BrovadaLa tradizione popolare

Nell’Ottocento, la Brovada è talmente diffusa nella dieta dei friulani da essere inserita nel Regolamento alimentare carcerario del 1844 per le forniture alla “casa di pena” di Gradisca, allora compresa in territorio asburgico. L’appalto prevedeva un elenco dettagliato dei vari alimenti destinati ai condannati in cui, tra l’altro, abbondano le “rape” e le “rape garbe”, con un consumo previsto per tre giorni la settimana: il mercoledì, il giovedì e il sabato.

Il grande scrittore risorgimentale, Ippolito Nievo, che visse a Colloredo di Monte Albano fa mangiare proprio la Brovada al brigante Spaccafumo nel quarto capitolo del suo famoso libro: “Le confessioni di un italiano”, scritto nel 1858.

Nel 1861, un socio dell’Associazione agraria friulana scrive sul “Bullettino” che “la Brovada è il miglior uso che si possa fare delle rape”.

Nella “Guida gastronomica d’Italia”, realizzata dal Touring Club Italiano nel 1931, si certifica che la Brovada è “cibo antico, popolare in tutto il Friuli”, mentre nel 1940 Valentino Ostermann, nel suo dettagliato lavoro “La vita in Friuli” descrive la Brovada come “un piatto caratteristico del Friuli”.